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La riflessione di Monsignor Sandro Salvucci rivolta alla Parrocchia Universitaria

Comunicato stampa pubblicato il giorno 18/12/2023

In prossimità del Natale, nell’occasione dell’incontro mensile con i docenti dell’Università di Urbino promosso dalla pastorale universitaria, l’arcivescovo di Pesaro e Urbino Monsignor Sandro Salvucci è intervenuto con la seguente riflessione:

Suggestioni attorno al tema: “La religione vissuta da moderni”

Tutto intorno a te”, slogan pubblicitario di qualche anno fa, è un’espressione che meglio di ogni altra riassume, a mio parere, lo spirito del tempo che viviamo. Dobbiamo riconoscere a Papa Francesco la lucidità nel cogliere le profonde trasformazioni culturali che attraversano il mondo, specie quello occidentale, tanto da affermare che non siamo di fronte a un’epoca di cambiamenti, ma a un “cambiamento d’epoca”. Ecco cosa ha affermato in un discorso di alcuni anni fa ai membri della Pontificia Accademia della Vita:

“La creatura umana sembra oggi trovarsi in uno speciale passaggio della propria storia che incrocia, in un contesto inedito, le antiche e sempre nuove domande sul senso della vita umana, sulla sua origine e sul suo destino. Il tratto emblematico di questo passaggio può essere riconosciuto sinteticamente nel rapido diffondersi di una cultura ossessivamente centrata sulla sovranità dell’uomo — in quanto specie e in quanto individuo — rispetto alla realtà. C’è chi parla persino di egolatria, ossia di un vero e proprio culto dell’io, sul cui altare si sacrifica ogni cosa, compresi gli affetti più cari. Questa prospettiva non è innocua: essa plasma un soggetto che si guarda continuamente allo specchio, sino a diventare incapace di rivolgere gli occhi verso gli altri e il mondo (5 ottobre 2017).

L’ipertrofia dell’io è bene rappresentata da un altro slogan di una rivista patinata del passato che, giocando palesemente con le parole, affermava: “Io esiste”. Qui non si mette in discussione l’affermazione della dignità e dei diritti dell’uomo, di tutti gli uomini (proprio in questi giorni, un po’ in sordina per la verità, si è celebrato il 75° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) che è indiscutibilmente una conquista di civiltà, ma si tratta di considerare quale spazio abbia il tema dell’altro e dell’Altro con la “A” maiuscola (quindi il tema di Dio) davanti all’avanzare del “culto dell’io”.

Afferma don Armando Matteo:

Una tale diagnosi ricorda molto da vicino quella offerta recentemente da altri studiosi del paesaggio contemporaneo. Penso a Colette Soler che denuncia il nocivo diffondersi, nelle società occidentali, di un terribile «narcisismo»; oppure a Luigi Zoja che ha dato alle stampe un piccolo ma acuto saggio intitolato La morte del prossimo. Ci comportiamo, insomma, come se l’altro e gli altri nulla avessero a che fare con il pieno raggiungimento della nostra umanità. Avanza, pertanto, l’illusione di poter semplicemente bastare a noi stessi per una vita piena, compiuta, umana. (vedi: https://www.settimananews.it/papa/altare-della-egolatria/)

L’illusione di poter bastare a sé stessi è affermazione di vera libertà? La rimozione dell’altro e del senso religioso non sembrano aumentare il tasso di felicità, ma generano disorientamento crescente e disillusione.

A questo punto vorrei portare l’attenzione su una riflessione, a me molto cara, del Cardinale Carlo Maria Martini, una delle personalità religiose più di spicco del ‘900, sul tema del “Dialogo con i non credenti”[i] (ricordiamo che il Cardinale, Arcivescovo di Milano, ha dato vita alla “cattedra dei non credenti”). Innanzitutto, nel leggere il contesto culturale del nostro tempo, scrive:

Al di là delle interpretazioni possibili della crisi delle ideologie, della fine della modernità e del profilarsi del tempo postmoderno, ciò che oggi in Occidente rende culturalmente più poveri è la mancanza di un orizzonte comune rispetto a cui porre l’ethos, non soltanto come prassi e costume, ma anche come radicamento e dimora, come ultimo fondamento del vivere, dell’agire e del morire umani. Questo senso di abbandono e di addio, questa fragilità e debolezza è terreno di cultura per ogni scetticismo o relativismo, ma può anche essere un luogo in cui credenti e non credenti si confrontano. Non però combattendosi muovendo da facili certezze o impugnando la clava della verità, con cui punire o giudicare l’altro, ma cercando di comprendere e interpretare questo spaesamento

 

In questo spaesamento del pensiero ed esistenziale c’è un terreno comune di incontro che è “l’altro”:

La categoria che tutti ci provoca non è l’identità, ma l’alterità, in quanto essa ci raggiunge nel bisogno d’altri, nell’urgenza della com-passione e nell’inquietante oscurità dell’ultimo orizzonte verso cui muovere il cammino.

 

La sfida si gioca perciò sul piano dell’etica:

È qui che si presenta con nuova rilevanza, come termine di comune interrogazione per tutti, la sfida dell’etica. Non si tratta infatti solo di un esistere davanti all’Altro e con l’Altro, ma anche di un esistere per gli altri: che non possono essere colti soltanto come produzione del nostro pensiero, o condizione del nostro operare, o limite o sfida della nostra libertà e delle nostre scelte, ma si offrono anche e soprattutto come esigitività radicale, come fondamento dell’esistere responsabile.

 

Il tema dell’altro diventa lo spazio del dialogo tra credenti e non credenti:

Nel raccogliere la sfida dell’alterità, credenti e non credenti si scoprono più vicini di quanto si potrebbe supporre: il credente, nella sua lotta interiore per aprirsi al Dio dell’avvento, si riconosce in certo modo come un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, e il non credente pensante si riconosce come il credente che ogni giorno vive la lotta di cominciare a non credere. Non si tratta quindi qui dell’ateo banale, negligente e in fuga da sé stesso, ma di chi vive le tensioni profonde che agitano una coscienza retta, in ricerca di coerenza globale; si tratta di chi, avendo cercato e non avendo ancora trovato, patisce l’infinito dolore dell’assenza di Dio. Questo tipo di ateo può considerarsi in qualche modo l’altra parte di chi crede. Questo riconoscere nell’altro, nel diverso, non un pericolo, ma un dono, un incontro, è una forma esigente di eticità sulla quale si possono sintonizzare anche credenti e non credenti. Si tratta di amare l’altro come è, per quello che è, cercando in lui la verità di noi stessi e offrendogli umilmente, ma al tempo stesso fiduciosamente, la verità di noi stessi.

 

In ultima analisi:

la differenza da marcare non sarà tanto quella tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti, tra uomini e donne che hanno il coraggio di vivere la sofferenza, di continuare a cercare per credere, sperare e amare, e uomini e donne che hanno rinunciato alla lotta, che sembrano essersi accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero dell’ultimo orizzonte e dell’ultima patria. La sfida pastorale che ne deriva è allora quella di ascoltare le domande vere del pensiero davanti al mistero dell’esistenza, ponendosi insieme, credenti e non credenti pensosi, a capire ciascuno le ragioni dell’altro. 

 

Siamo ormai prossimi al Natale che ci rimanda al mistero di un Dio che non se ne sta nella sfera del “totalmente altro”, ma in Cristo “svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,8). Auguro a ciascuno di trovare nel Dio che si è fatto bambino uno stimolo a non rimanere chiusi in sé stessi, ma a fare “esodo” dal proprio io per aprirsi al Mistero e andare incontro all’altro, per accoglierlo, ascoltarlo, comprenderlo e imparare a percorrere insieme le strade della vita, sognando e impegnandosi insieme a costruire un mondo più giusto e fraterno.

Il Signore vi dia pace!

✠ Sandro Salvucci

[i] Carlo Maria Martini, “Il dialogo con i non-credenti. Fondamenti teologico-pastorali”, in http://www.latinitas.va/content/cultura/it/plenarie/1999-umanesimo.html

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