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Martedì 4 novembre a Giurisprudenza il convegno “I rapporti tra scienza e diritto nell’accertamento della verità”.

Comunicato stampa pubblicato il giorno 30/10/2014

Martedì 4 novembre 2014 alle 14,30 presso l’Aula Magna del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Urbino, in Via Matteotti, 1 si terrà un convegno sul tema “I rapporti tra scienza e diritto nell’accertamento della verità”. I lavori, introdotti dal Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Prof. Paolo Pascucci, e coordinati dal dott. Giacomo Gasparini, Magistrato del Tribunale di Pesaro, prevedono le relazioni del dott. Piercamillo Davigo, Magistrato di Cassazione, del Prof. Alessandro Bondi docente di diritto penale dell’Università di Urbino e del Prof. Vincenzo Fano, docente di storia della scienza dell’Università di Urbino. Sono programmati gli interventi dell’Avv. Gianluca Sposito e della Prof. Maria Paola Mittica entrambi dell’Università degli studi di Urbino. La conclusione è affidata al Prof. Giuseppe Giliberti, titolare della Cattedra di Fondamenti del Diritto Europeo dell’Università di Urbino, Dipartimento di Giurisprudenza. L’iniziativa, aperta anche al pubblico, è nata su impulso della rivista on.line del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università “Cultura giuridica e diritto vivente” (sito: ojs.uniurb.it) e si inserisce in un contesto composito di attività formative che si pone come obiettivo quello di mettere a disposizione degli studenti strumenti per la diagnosi e la soluzione dei casi concreti con la supervisione di docenti ed esperti. Si ritiene infatti che ad una società viva non può corrispondere un diritto pietrificato… l’ordinamento non è un sistema chiuso ma è concepibile come una rete aperta e in costante trasformazione…ed in cui si agita …il conflitto tra law in action e law in books… al punto che è… la cultura giuridica nella quale vive ed opera il giudice a determinare in misura notevole il significato che si dovrà dare alla disposizione. Il segreto del mestiere del giudice può individuarsi nello sforzo di contestualizzazione per colmare la inevitabile divaricazione fra l’assunto della law in books e la richiesta di una giustizia ragionevole. Ma è soprattutto ad opera delle Università che il ceto dei magistrati e degli operatori del diritto ricava il proprio linguaggio ed il proprio metodo (dal Manifesto della Rivista, Prof. Giuseppe Giliberti). Ne deriva che non è più possibile concepire l’educazione del giurista in senso formalistico dovendosi egli dedicare anche ad altre materie nevralgiche quali la storia, la filosofia, il diritto comparato, l’antropologia, la sociologia e l’economia. In tale contesto è sembrato utile cercare di affrontare il tema del rapporto sempre più stretto che si è istaurato tra la scienza del diritto e le scienze, nella consapevolezza che il ragionamento probatorio che conducono avvocati e giudici sempre più spesso deve affidarsi alle conoscenze scientifiche. Ed allora quanto è grave e concreto il rischio di una deriva tecnicistica del processo? Quale deve essere il ruolo del giudice (un guardiano notarile portavoce della opinione ufficiale della comunità scientifica o  un apprendista stregone)? Quale la funzione delle parti del processo ? Come è possibile fruire in maniera ragionevole degli apporti delle cosiddette scienze empiriche (ispirate al criterio della probabilità) che tanto terreno hanno guadagnato rispetto alle scienze formali, giudicate assai sicure nella misura in cui la verità della premessa si trasmette inevitabilmente alle conclusioni? Che spazio può ancora avere il libero convincimento del giudice se è vero che quando in un processo si ricorre all’ausilio di un esperto è perché si percepisce l’insufficienza della propria cultura in un dato settore dello scibile? Non è forse assurdo  ritenere che improvvisamente, dopo l’espletamento di una perizia, l’intelletto del giudice si illumini di una sapienza tale da consentirgli di criticare le conclusioni di persone che hanno dedicato magari un’intera esistenza alla ricerca scientifica?  Il metodo del giudice, che come lo storico opera su lost facts  e che comunque deve pervenire ad una decisione, non è forse radicalmente inconciliabile con quello dello scienziato che opera su fatti presenti e che può anche accontentarsi di concludere che allo stato delle conoscenza una soluzione non esiste? Non meno gravi gli interrogativi da rivolgere agli scienziati: è corretta l’idea secondo cui lo scienziato è una sorta di oracolo? Quanto conta la dimensione dialettica nella indagine scientifica? La comunità scientifica può offrire risposte contrastanti? Che posizione si deve assumere nei confronti delle cosiddette nuove scienze o bad sciences ? Strumenti conoscitivi come il test del DNA hanno una capacità cognitiva superiore e dunque indiscutibile? Il docente universitario delle scuole di giurisprudenza come può ripensare il proprio ruolo alla luce degli interrogativi appena delineati? E’ bene proporre agli studenti anche le soluzioni proprie di altri ordinamenti in cui il dibattito su questi temi è partito sin dagli anni 20 del secolo scorso (vedi le sentenze della Corta Suprema degli Stati Uniti nei casi Friye, Daubert, Kuhmo Tire)? L’auspicio è che il confronto tra autorevoli esperti attivamente impegnati nell’esercizio della giurisdizione, della formazione e della pratica forense possa fornire qualche risposta  specie ai giuristi di domani  e comunque tenere vigile l’attenzione su temi in rapida, quanto a volte confusa, evoluzione.  

 

 

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